Il crepuscolo delle democrazie, il potere assoluto dei dittatori contemporanei

Il crepuscolo delle democrazie, il potere assoluto dei dittatori contemporanei

15 Settembre 2025 Off Di Pasquale De Rosa

Memoria fallace … cassiamo i diritti…

Absolutus, in latino, significa sciolto, sciolto da qualunque vincolo, definizione tanto più corretta se l’applichiamo al potere, nelle sue varie forme. In questi ultimi anni abbiamo visto riapparire manifestazioni di potere che si concretizzano senza tener conto di argini, limiti e valutazioni normative. Il potere assoluto, per definizione, è da ricondurre al potere dei  sovrani, ma, non da meno, ai dittatori. Ne vediamo tanti, in varie parti del mondo, vicine e
lontane dalla nostra Europa, che, dopo secoli di lotte, aveva sconfitto proprio il potere assoluto. Molte di queste forme di potere assoluto sono, appunto, di tipo politico, almeno le
più riconoscibili, molte altre, in forma subdola, si disseminano nel nostro quotidiano, anche per effetto di quelle politiche. Si pensi alle regole di mercato e quelle finanziarie, che ci circuiscono senza poterci difendere, determinando la nostra vita, in stretto collegamento con “quel” potere assoluto. Altre si presentano apparentemente come forme di potere “legittimo”,
che tali, spesso, in concreto non sono, ma che, come potere legittimo, determinano ugualmente la nostra vita. Le modalità sono sempre le stesse, connesse tra loro. Stiamo ascoltando, da più parti, le contestazioni della sentenza che ha visto, sostanzialmente,
assolto il marito della donna massacrata per aver messo fine al loro matrimonio. Sorprende che il magistrato (abbiamo avuto ultimamente altri casi simili), nelle motivazioni della 
sentenza, dopo che già aveva sottodimensionato la pena, riconosca la legittimità di massacrare per motivi, qui, irripetibili. Nei secoli, gli uomini hanno potuto picchiare, abbandonare, tradire, offendere, privare, calpestare fisicamente e verbalmente, segregare,
spiare, deridere, mortificare senza che nessuno potesse frenare o, tanto meno, volesse punire. Ma, oggi, come si può arrivare ancora a tanto e, ancor più, ad assolvere chi agisce in modo tanto brutale? Quel magistrato, come altri, sente di poter interpretare, appunto, un
potere assoluto, i suoi umori, la sua logica e la sua supposta etica professionale sono al di sopra di tutto. Il problema non è la Giustizia, ma chi la applica e la interpreta piegandola alla
propria visione del mondo, dei sentimenti e dei comportamenti. La Giustizia non è uno spazio personale, interpretarla e applicarla secondo le regole di diritto è un obbligo, oltre ogni ragionevole dubbio, non un’opzione o il frutto di uno scatto d’umore o di prese di
posizione “personalistiche”. È la Giustizia che deve difendere il giusto.
“Sfogo”, così è stato definito ovvero reazione legittima, una reazione che tutti potremmo adottare per reagire ad un torto o ad un rifiuto, di qualunque tipo? E’ questo il messaggio che i cittadini devono interpretare? Qui non si tratta di parole o, meglio, sono parole che
determinano conseguenze, oltre le stesse parole e gli stessi fatti. Le parole, oggi più che mai, stanno facendo la storia. Anzi, le parole e l’inconsapevolezza degli effetti che producono, violenza, appunto.
Non si tratta nemmeno di un tecnicismo giuridico, ma di decisioni che calpestano secoli di lotte e fiumi di norme, che hanno consentito, almeno a noi europei, di abbandonare l’uso della forza e della violenza. Attenersi, strumentalmente, al tecnicismo giuridico, divenuto, purtroppo, quasi una norma assoluta, aggiuntiva e giustificativa in tante sentenza, non significa fare giustizia, il tecnicismo nasconde l’incapacità di capire, di sapere,
intenzionalmente o meno, e, così, di decidere in modo arbitrario. Forse, è giunto il momento di riflettere sulla responsabilità di chi opera in tal senso e dare voce a tanti, tantissimi
cittadini che “normalmente “ si vedono calpestati da sentenze mascherate di tecnicismi, ma he, spesso, sono il frutto di superficialità, ignoranze e, ancor più grave, di compromessi. Il
voyeurismo, venuto alla cronaca recentemente, disseminato in tanti spazi di vita, quello sofisticato e quello della finestra accanto, è lo strumento perverso frutto proprio di questo retroscena di perversione, di discriminazioni e di violenze, di questo fiume di parole. Non si ha notizia di casi di un’invenzione di generi! In nulla. Ci sorprendiamo di ciò che avviene sui social?
Facciamo parlare i cittadini e le cittadine! Vale per la politica e per la Giustizia. Se pensiamo che ogni caso, ogni sentenza e ogni decisione sia un fatto a sé stante e non un problema di sistema, con impatto sul sistema, consentiamo che si creino questi vuoti di
etica e di consapevolezza, che dissolvono la fiducia nella Giustizia. Come sta avvenendo per la politica. Tanto più nel caso delle violenze e delle discriminazioni di genere. Nel mondo
del lavoro come in famiglia sono discriminazioni considerate “normali”, se le vittime sono donne, ma non c’è soluzione di continuità tra i vari ambiti del sistema sociale, politico e
giuridico, oltre che economico. Tante donne, per entrare nel mondo del lavoro, hanno dovuto lottare, subire, rinunciare, rinviare, per poi, magari, vedersi negati, da un magistrato “distratto”, i propri legittimi diritti, che ad un maschio è stato ed è più raro negare, a monte e
a valle, come per la legittimazione ad occupare luoghi decisionali. È un modo per negare diritto di parola ed indurre al silenzio, lo stesso che spinge tante donne a non denunciare le violenze, i soprusi e le sopraffazioni.
I torti di chi sono, ogni oltre ragionevole dubbio? La memoria è fallace. Cassiamo i diritti?