Giovani, disagio e social: l’autolesionismo non è più un fenomeno isolato
14 Dicembre 2025Negli ultimi anni il tema dell’autolesionismo tra i giovani è emerso con crescente allarme. Non si tratta più di casi isolati, ma di un fenomeno che coinvolge una fetta significativa di adolescenti e che spesso convive con altre forme di disagio psicologico, come depressione, ansia o ideazione suicidaria.
In Italia, per esempio, dati dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù mostrano che gli accessi in pronto soccorso per ideazione suicidaria o tentativi di suicidio sono cresciuti in modo drammatico nel corso degli anni. Secondo le parole di psichiatri dell’infanzia, i comportamenti autolesivi nei ragazzi sono aumentati di circa il 27 % rispetto al periodo pre-Covid. Studi su campioni di adolescenti indicano che un numero importante di loro ha avuto comportamenti di self-harm: una ricerca su ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 19 anni in Campania ha rilevato che circa il 15 % ha dichiarato di essersi autoinflitto ferite almeno una volta. Altre stime, in un campione clinico di 234 adolescenti, hanno rilevato un tasso di autolesionismo (DSH) pari al 42%, collegato spesso a fattori come stress, traumi o sintomi psichiatrici.
Questi numeri sono ancora più preoccupanti se rapportati al fatto che il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani: un dato confermato anche in Italia. Il disagio psicologico giovanile sembra dunque sempre più profondo, e l’autolesionismo non è solo un grido individuale, ma un segnale di emergenza sociale.
Un contesto territoriale come la Penisola Sorrentina non è immune a queste dinamiche. Anche qui, in una zona nota per la sua bellezza paesaggistica e il forte richiamo turistico, emergono segnali di disagio giovanile che meritano attenzione. Nel 2023, il Comune di Sorrento ha ospitato un convegno su “Salute mentale e territorio nella Terra delle Sirene”, con la partecipazione dell’Unità operativa di Salute mentale dell’Asl Napoli 3 Sud, proprio per riflettere su come il territorio possa rispondere alle fragilità psicologiche. Nel contempo, le attività di controllo nelle spiagge della costiera sorrentina hanno evidenziato, tra i giovani, anche fenomeni di devianza, uso di sostanze e situazioni sociali complesse. Questa tensione tra l’immagine idilliaca della penisola sorrentina (turistico-paesaggistica) e la realtà di un disagio giovanile nascosto, ma non meno reale, rappresenta un paradosso drammatico. Secondo alcuni analisti, il “turismo di massa” e un’economia locale fortemente legata all’immagine possono contribuire a una forma di alienazione: i giovani sentono che il territorio è una vetrina, ma non sempre un luogo in cui sentirsi compresi o supportati.
Una parte importante del malessere giovanile è connessa all’uso malsano dei social media. Numerose ricerche evidenziano che molti adolescenti sono esposti a contenuti di autolesionismo o suicidio sulle piattaforme social, anche senza cercarli. Un lavoro su giovani utenti ha mostrato che l’esposizione a contenuti legati al self-harm predice più facilmente la comparsa di impulsi autolesivi nel breve termine. Inoltre, gli algoritmi di alcune piattaforme risultano particolarmente problematici: secondo un rapporto recente, Instagram e TikTok possono suggerire sistematicamente video su suicidio o autolesionismo a profili giovani, contribuendo a creare una “camera eco” in cui il contenuto autolesivo si diffonde e normalizza.
Sempre in Italia, uno studio ha mostrato che gli adolescenti con un uso problematico dei social – misurato con scale specifiche – tendono ad avere maggiori difficoltà socio-emotive e un rischio più alto di dipendenza emotiva da rete. Così, il social non è solo uno sfondo neutro, ma può diventare un moltiplicatore di vulnerabilità: pressione sociale, confronto costante, idealizzazione di standard irrealistici, ma anche la disponibilità continua di contenuti nocivi.
Di fronte a questa complessità, non esistono soluzioni semplici, ma alcune strategie concrete possono contribuire a mitigare il fenomeno:
•Promuovere educazione digitale nelle scuole: non solo per insegnare l’uso “tecnico” dei social, ma anche per riflettere insieme su rischi, emozioni, come riconoscere contenuti potenzialmente dannosi e cosa fare quando li si incontra.
•Rafforzare le politiche di moderazione delle piattaforme: chiedere che gli algoritmi non promuovano contenuti pericolosi, che ci sia una rimozione più attiva di post di autolesionismo, e che siano previste protezioni specifiche per gli adolescenti.
•Potenziare il supporto psicologico per i giovani: aumentare l’accesso a servizi di salute mentale dedicati agli adolescenti, anche con modalità “giovani-friendly” (telepsicologia, chat con psicologi, gruppi di supporto) per offrire uno spazio sicuro in cui parlare senza vergogna.
•Coinvolgere famiglie e genitori: offrire formazione ai genitori su come riconoscere segnali di malessere (cambiamenti nel comportamento, segni fisici di autolesione, isolamento), e su come parlare apertamente di salute mentale con i loro figli, senza giudizio.
•Incentivare campagne di prevenzione diffuse: campagne social, media, nelle scuole, che parlino apertamente di autolesionismo, depistando lo stigma e rendendo accettabile chiedere aiuto; promuovere modelli di resilienza, di ascolto, di comunità.
•Infine, ricerca e monitoraggio: è fondamentale continuare a raccogliere dati aggiornati sul fenomeno, su come evolve, su quali gruppi sono più a rischio, in modo che le politiche e gli interventi siano sempre basati su evidenza reale.
In sostanza, l’autolesionismo nei giovani è una questione grave e multifattoriale, in cui il malessere individuale si intreccia con dinamiche sociali globali come l’uso dei social media. Per contrastarlo servono azioni su più livelli — educativo, sanitario, politico e familiare — perché solo così si può offrire una risposta efficace e umana.


