Annamaria Rufino, il rischio di assuefazione alla violenza è forte

Annamaria Rufino, il rischio di assuefazione alla violenza è forte

18 Novembre 2025 Off Di Marco Magliulo & Pasquale Maria Sansone
Con l’approssimarsi della giornata che, in tutto il mondo, ricorda la condanna della violenza sulle donne, abbiamo pensato di intervistare la professoressa Annamaria Rufino (nella foto di copertina)titolare della cattedra di Filosofia del Diritto all’università Luigi Vanvitelli. La docente, infatti, è sempre impegnata in prima linea su queste tematiche a sulla necessità che alle donne venga riconosciuta maggiore tutela in un’epoca della storia che risulta particolarmente violenta e perniciosa proprio per il gentil sesso.
La violenza grave sulle donne era, fino a qualche anno fa, un dato connaturato alle società meno evolute. Pensiamo alle restrizioni che sulla donna gravano in alcuni paesi di religione islamica: l’infibulazione; il burca, il divieto di all’istruzione, di poter uscire da casa senza un  accompagnatore..oggi, invece, la violenza è “patrimonio” comune anche nelle società più evolute. I femminicidio sono all’ordine del giorno e con modalità di esecuzione sempre più truci ed efferate. Cosa sta succedendo anche in occidente a questa società contemporanea che sembra aver perso completamente la bussola?

Il susseguirsi, oramai quasi quotidiano, di femminicidi – i dati aggiornati ci dicono che siamo già a 94, in Italia, nel 2025 – purtroppo sta determinando assuefazione. La violenza è quasi sempre di tipo familiare, partner o ex partner. È paradossale come, a fronte di un fenomeno che non possiamo non definire “mostruoso”, alcuni casi, altrettanto mostruosi, si stiano trasformando in programmi di successo. Si pensi, da ultimo, al caso di Garlasco, se ne parla quasi ogni giorno, ma a tutto si è portati a prestare attenzione, le indagini, i protagonisti, la corruzione, tranne che alla violenza subita dalla ragazza. Credo che questa deriva stia incidendo sul disseminarsi di femminicidi o tentativi di femminicidi, comunque di violenze. Le immagini trasmesse divengono attrattive e contagiose per chi serba in animo desidero di violenza e di aggressione. Ben diverso sarebbe l’impatto della comunicazione di massa se si parlasse di condanne, giudiziarie, morali e sociali, ma non come semplice comunicazione del “dato”. È qui il punto: oltre alla mancanza di prevenzione, di educazione, di osservazione consapevole del fenomeno e, ancor prima, del rischio, la mera trasmissione del dato genera comportamenti imitativi e di assuefazione.  Purtroppo è un problema atavico e richiede attenzione e consapevolezza. Ogni donna, con molta probabilità, nella vita ha subito violenza, sopraffazione, esclusione, delegittimazione e derisione: poche donne ne parlano e ancora meno ne sono consapevoli. Questo è un altro buco nero. A tutto, occorre aggiungere la disattenzione delle istituzioni, nessuna esclusa, e delle forze dell’ordine.