Violenza tra giovani e baby gang (I parte)

Violenza tra giovani e baby gang (I parte)

15 Settembre 2020 0 Di Teresina Moschese*

La degenerazione minorile si sta consumando su tutto il territorio italiano. Cosa sta succedendo? Chi sono questi ragazzi?

 

Teresina Moschese

Nelle ultime settimane la nostra comunità casertana è testimone di un incremento di episodi di violenza e di aggressività di gruppo agita da parte di minori nei confronti di coetanei, talvolta di adulti fragili e, spesso, di beni comuni. Guardandoci intorno, la cronaca sta riprendendo, ormai da anni, il fenomeno della devianza minorile e giovanile nel suo dilagare da nord a sud su tutto il territorio nazionale. Analizzando i titoli di cronaca dal 26 luglio 2020 ad oggi, infatti, leggiamo titoli e titoli relativi all’argomento che fanno ipotizzare una stima di tre episodi denunciati di violenza minorile a settimana. Tra chi terrorizza i coetanei con furti e pestaggi, a volte per pochi euro, spesso per motivi futili, piccole provocazioni, sguardi non graditi, commenti negativi ricevuti sui social. La degenerazione minorile si sta consumando su tutto il territorio italiano. Cosa sta succedendo? Chi sono questi ragazzi? Come mai si comportano così? Cosa possiamo fare noi adulti, in qualità di genitori, educatori, terapeuti, istituzioni, comunità? Cosa possono fare i nostri figli per difendersi senza soccombere?

 

Cosa sta succedendo?

La prima cosa che viene da pensare è che siano bulli. Ok. In effetti la carriera del baby gangster può cominciare dal bullismo a scuola. Ma facciamo un po’ di chiarezza.

È definito bullismo quel fenomeno che si sviluppa in ambiente scolastico, dalla primaria alla secondaria di secondo grado, e che raccoglie un insieme di comportamenti violenti, sia fisici, sia verbali, intenzionali, ripetuti nel tempo, nei confronti di uno o più coetanei intercettati dal bullo come bersagli facili, in quanto vulnerabili perché “diversi”. La diversità può riguardare l’aspetto fisico, l’identità sessuale, l’etnia, l’appartenenza socioculturale o la condizione psicofisica. Il gruppo di bulli, in genere, prevede la presenza di un leader, dei sostenitori/gregari e degli spettatori che non prendono posizione, deresponsabilizzandosi di fronte ad atti di violenza compiuti di fronte ai loro occhi.

Il fenomeno delle baby gang, invece, è più articolato e complesso. E’ una forma di micorcriminalità minorile in contesti urbani e, nella sua espressione, presuppone che ci sia un gruppo di minori organizzati in una struttura verticale, guidati da un leader, con regole di inserimento, che possono prevedere riti di iniziazione, prove di coraggio, gergo e abbigliamento comune e che sono caratterizzate da ruoli maggiormente strutturati con differenti gradi di appartenenza, come “aspiranti” “junior” etc.. Ad ogni livello di appartenenza si è coinvolti in attività delinquenziali che vanno da quelle minori a quelle gradualmente maggiori e violente.

La baby gang cerca di controllare il territorio tramite la messa in atto di condotte violente con reati verso il patrimonio e verso la persona. Si parte dal furto di smartphone e oggetti firmati, per arrivare alle rapine, alle aggressioni, agli atti vandalici e allo spaccio.

In qualche modo, le baby gang sembrerebbero essere una sorta di “evoluzione” del bullismo nelle scuole, giacché è l’ambiente in cui si sperimentano le prime relazioni con i coetanei e in cui avvengono le prime esperienze di inserimento nei gruppi.

 

Chi sono questi ragazzi e come mai si comportano così?

Sono ragazzi, soprattutto maschi, tra i 10 e i 16 anni, che si comportano oltre il limite della provocazione e prevaricano intenzionalmente i diritti e le regole della convivenza. Fanno tutto questo senza pentirsene, non hanno sensi di colpa, né comprensione, compassione o rispetto per persone, cose o animali che prendono di mira. Se riuscissimo a parlare con loro e a discutere sulle loro “imprese” ci accorgeremmo che non se ne assumono alcuna responsabilità morale. Come se compiere un’azione deviante in gruppo fosse meno grave che compierla singolarmente. Di solito, hanno anche difficoltà ad andare d’accordo sia con il gruppo dei pari che, soprattutto, con gli adulti. Con gli amici si comportano da vessatori, contestatori e tendono a litigare anche violentemente per imporre la loro volontà.

Sono ragazzi che hanno perso il contatto con le loro emozioni e, dunque, non riescono a riconoscerle né in sé né nell’altro, mancando di empatia, e non hanno capacità di regolazione emotiva, arrivando a violare le più fondamentali regole sociali, in preda ad un acting out, ovvero un agire guidato dagli impulsi che non trova spazio per la razionalità, il dialogo, l’ascolto e la comprensione della sofferenza altrui.

La psicopedagogia più accreditata sostiene che ciò accade perché essi, non avendo sedimentato le differenze emotive, ad es. tra divertirsi insieme ai compagni e farne loro oggetto di derisione sprezzante ed offensiva, manifestano un’incapacità di “sentire” il mondo attraverso un rapporto squilibrato tra stimolo e risposta impulsiva non adeguata al contesto. (Continua)

*Psicologa-psicoterapeuta familiare