Vaccini anti Covid agli adolescenti: cosa dice la Società italiana di medicina dell’adolescenza (Sima)

Vaccini anti Covid agli adolescenti: cosa dice la Società italiana di medicina dell’adolescenza (Sima)

16 Giugno 2021 0 Di Carlo Alfaro*

Sui vaccini contro il Covid agli adolescenti regnano informazioni discordanti, confusione e timori. Per fare chiarezza ne discutiamo con la dottoressa Gabriella Pozzobon, Pediatra presso il Dipartimento Materno-Infantile/Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’IRCCS Ospedale San Raffaele/Università Vita-Salute San Raffaele e Presidente della massima autorità in Italia nel campo dell’adolescenza, la Società italiana di medicina dell’adolescenza (Sima). L’esperta tiene a precisare subito: “Purtroppo i dati ad oggi a nostra disposizione sui vaccini anti-Covid negli adolescenti sono ancora pochi, su una scarsa numerosità di soggetti e con follow-up di breve durata, pertanto la possibilità di trarre conclusioni definitive risulta limitata”.

Ora che è arrivato il via libera dalle agenzie regolatorie europea (EMA) e italiana (AIFA) a vaccinare anche la fascia d’età che va dai 12 ai 15 anni col vaccino Comirnaty della Pfizer (dai 16 anni era già possibile), come già autorizzato dalla FDA negli Stati Uniti, mentre anche l’azienda Moderna, dopo aver condotto studi analoghi, ha richiesto alla FDA l’autorizzazione all’uso del vaccino dai 12 ai 17 anni (il suo è finora autorizzato dai 18), si apre la possibilità di vaccinare tutti gli adolescenti contro il Covid-19. Perché vaccinarli?

La vaccinazione, secondo gli studi più recenti, è capace non solo di proteggere dalle manifestazioni cliniche del Covid-19, dal ricovero e dalla morte, ma anche di contrastare la trasmissione dell’infezione. Anche se i minori vanno generalmente incontro a forme non gravi di malattia da Sars-CoV-2, possono avere un ruolo importante, avendo una vita sociale molto attiva, soprattutto gli adolescenti, nella diffusione dei contagi. Vaccinarli potrebbe dunque ridurre la circolazione del virus e proteggere gli adulti più vulnerabili. Il vaccino negli adolescenti viene caldeggiato in particolare nell’ottica di un rientro a scuola in sicurezza a settembre.

Perché invece alcuni sostengono che il vaccino ai minorenni non rappresenti una priorità?

Il parere in tale ambito è diviso. Alcune posizioni ritengono l’immunizzazione contro il Covid-19 negli adolescenti non prioritaria rispetto ad altre fasce della popolazione, essendo la gravità dell’infezione contenuta nella maggior parte di loro, altri la considerano comunque utile per la comunità. Invece, negli adolescenti fragili, ossia con comorbidità che li rendono più suscettibili a forme gravi di Covid, quali malattie croniche, diabete, obesità, tumori, condizioni di immuno-soppressione, la vaccinazione è una priorità uniformemente riconosciuta, come negli adulti appartenenti a queste categorie. In Germania, ad esempio, attualmente il vaccino è raccomandato solo agli adolescenti tra i 12 e i 18 anni con malattie pregresse.

In quale misura il diffondersi di nuove varianti del Sars-CoV-2 potrebbe modificare le indicazioni ai vaccini per gli adolescenti?

Se emergessero nuove varianti a maggiore impatto clinico e in termini di mortalità sui minori, vaccinarli assurgerebbe al ruolo di priorità. In tal senso viene considerata con attenzione la variante Delta (cosiddetta indiana), attualmente responsabile di oltre il 90% dei nuovi casi di Covid-19 nel Regno Unito. Secondo le autorità sanitarie britanniche, la variante Delta è più trasmissibile del 64% rispetto a quella Alpha precedentemente dominante (la cosiddetta variante inglese) ed è 2,2 volte più probabile che porti al ricovero. Chi ha ricevuto una sola dose di vaccino a mRna sarebbe coperto solo al 33% contro la malattia sintomatica da variante Delta 3 settimane dopo, mentre la copertura con una sola dose è del 50% contro la variante Alpha. Dunque diventa importante completare velocemente il ciclo vaccinale per il maggior numero di persone possibili.

Dato che il Covid-19 non è grave negli adolescenti, è importante per proporre loro la vaccinazione che essa non comporti rischi, giusto? I vaccini anti-Covid sono effettivamente sicuri?

L’Agenzia Italiana del Farmaco ha appena pubblicato il quinto Rapporto di Farmacovigilanza sui vaccini Covid-19, basato sulle segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza tra il 27 dicembre 2020 e il 26 maggio 2021 per i quattro vaccini in uso nella campagna vaccinale in corso. Il tasso di segnalazione è di 204 ogni 100.000 dosi, di cui circa il 90% sono riferite a eventi non gravi, ad insorgenza prevalentemente lo stesso giorno della vaccinazione o il giorno successivo. La maggior parte delle segnalazioni sono relative al vaccino della Pfizer, finora il più utilizzato nella campagna vaccinale e solo in minor misura al vaccino Vaxzevria di Astrazeneca, al vaccino Moderna e al vaccino Janssen. Le segnalazioni gravi corrispondono al 10,4% del totale, con un tasso di 21 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate. Le segnalazioni di decesso con possibile nesso causale con la vaccinazione sono 4, di cui un caso a seguito di vaccino mRna e tre casi dopo la vaccinazione con Vaxveria. Con i dati ad oggi disponibili si può dunque concludere per la sicurezza dei vaccini anti-Covid. Ricordiamo che al momento per gli adolescenti dai 12 ai 18 anni è autorizzato solo il Pfizer.

Gli effetti avversi dopo la vaccinazione contro il Covid-19 negli adolescenti sono minori o maggiori che nelle altre fasce di età?

Sovrapponibili, negli studi di fase 3 presentati dalla Pfizer/BioNTech: dolore nel sito dell’iniezione, mal di testa, dolori muscolari o articolari, brividi, febbre, stanchezza, nausea.

Ha creato allarme la segnalazione di casi di miocardite nei giovani maschi vaccinati con Pfizer. Cosa c’è di vero?

I CDC (Centers for Disease Control and Prevention) americani hanno riportato in un numero molto ridotto di giovani tra i 16 e i 30 anni miocardite o pericardite dopo la vaccinazione. La maggior parte dei casi si sono verificati dopo circa quattro giorni dalla seconda dose. E’ ancora incerto il legame tra tali casi e il vaccino. Anche il Ministero della Salute israeliano ha segnalato il rischio di miocardite in un piccolo numero di giovani che hanno ricevuto il vaccino di Pfizer: 275 casi su più di 5 milioni di persone vaccinate. La prevalenza è stata maggiore nei maschi tra i 16 e i 19 anni e i casi non hanno manifestato particolare gravità. Casi di miocardite a seguito del vaccino Moderna sono oggetto di indagine anche negli Stati Uniti. Non è chiaro il motivo per cui i due vaccini a mRNA possano aumentare il rischio di infiammazione cardiaca nei giovani: si ipotizza sia un effetto della vivace risposta immunitaria che generano che causa iper-infiammazione. Ovviamente i casi sono troppo pochi per poter trarre delle conclusioni in merito.

Potrebbe essere opportuno modificare le dosi dei vaccini per i minori?

I primi risultati degli studi hanno dimostrato che i ragazzi di 12-15 anni che hanno ricevuto due dosi standard del vaccino Pfizer-BioNTech hanno sviluppato livelli più elevati di anticorpi anti-virus rispetto ai ragazzi di 16-25 anni. Questo non sorprende causa la maggiore reattività immunitaria degli organismi giovani, e potrebbe anche esporli a maggiori effetti indesiderati di tipo immunitario, per cui alcuni autori suggeriscono di poter considerare la possibilità di utilizzare dosi ridotte.

Si è diffusa anche la notizia che i vaccini anti-Covid possano compromettere la fertilità.

E’ una fake new, che nasce dal fatto che la proteina Spike del Coronavirus che rappresenta il bersaglio dei vaccini sarebbe omologa alla Sincitina, che è essenziale per la formazione della placenta. La sequenza delle due proteine che è analoga invece, è troppo breve perché gli anticorpi anti-Spike attacchino anche la proteina della placenta. Infatti anche ammalarsi di Covid-19 non ha determinato finora compromissione della fertilità.

Parliamo ora del vaccino di Astrazeneca, il Vaxzevria. Il Comitato tecnico-scientifico (Cts) ha stabilito di somministrarlo solo per le persone di età uguale o superiore a 60 anni, sotto i 60 anni ha raccomandato invece i vaccini a mRna, ossia Pfizer o Moderna. Per la seconda dose di chi ha ricevuto Astrazeneca, per gli under 60 la raccomandazione è di cambiare tipo di vaccino, scegliendone uno a mRna.  Perché questo cambiamento di indicazioni?

Perché è mutato il contesto epidemiologico: riduzione dei casi di infezione da Covid-19 e diminuzione della mortalità, per cui il rapporto tra benefici della vaccinazione e potenziali rischi legati alle trombosi rare segnalate col vaccino di Astrazeneca è meno netto in età minori di 60 anni.

Può essere rischioso il passaggio a un vaccino a mRna per la dose di richiamo nei soggetti under 60 vaccinati con Astrazeneca?

Secondo lo studio spagnolo Combivacs, non ancora pubblicato, il programma vaccinale eterologo, ovvero la prima dose con Astrazeneca e la seconda con Pfizer o Moderna, è risultato sicuro ed efficace in 670 partecipanti tra 18 e 59 anni. Un altro studio inglese su 830 soggetti over-50, i cui dati preliminari sono stati pubblicati su Lancet, ha soltanto evidenziato dopo una prima dose con AstraZeneca e la seconda con Pfizer un aumento delle reazioni avverse lievi come febbre, astenia, mal di testa e dolori. In teoria, due vaccini diversi stimolerebbero la risposta anticorpale contro siti differenti della proteina Spike e ciò potrebbe determinare maggiore protezione.

Per il vaccino di Astrazeneca le limitazioni all’uso nelle persone al di sotto dei 60 anni suggerite dal Cts sono state assunte dal governo come perentorie, invece per il vaccino Janssen della Johnson & Johnson, che riconosce la stessa tecnologia a vettore adenovirale, resta solo la raccomandazione, ma non l’obbligo, di non utilizzarlo al di sotto dei 60 anni, come mai?

Le trombosi rare sono meno comuni con Janssen rispetto ad Astrazeneca. I vaccini peraltro non sono uguali: Johnson & Johnson si basa su un vettore adenovirale umano mentre Astrazeneca ne utilizza uno di scimpanzè. 

L’Italia è sconvolta per il caso della 18enne di Sestri Levante deceduta per trombosi dopo vaccino AstraZeneca. Quali sono i fatti?

Purtroppo non sono chiari e tuttora oggetto di indagine. La giovane aveva ricevuto la prima dose di AstraZeneca partecipando a un open day il 25 maggio, è stata ricoverata per trombosi del seno cavernoso il 6 giugno ed è deceduta il 10. Il caso è stato interpretato come sospetta trombosi in sede atipica associata a trombocitopenia in paziente vaccinato con Vaxzevria. La ragazza sembrerebbe essere stata affetta da una piastrinopenia autoimmune familiare (circostanza negata dalla famiglia) e comunque era in terapia farmacologica ormonale che poteva accrescere il rischio trombotico. Risulterebbe che la giovane non avesse segnalato tali dati ai vaccinatori.

Cosa si sa esattamente sulla trombosi venosa trombocitopenica (VITT: Vaccine-induced Immune Thrombotic Thrombocytopenia) segnalata dopo il vaccino Vaxzevria e Janssen?

Si tratta di un effetto collaterale raro caratterizzato da eventi trombotici in sedi atipiche (trombosi dei seni venosi cerebrali e/o del distretto splancnico) associati a piastrinopenia. Si manifesta con emorragie gravi e rapidamente progressive, spesso multi-focali, e in alcuni casi con quadro di coagulazione intravascolare disseminata. Il fenomeno si è presentato a distanza di 5-21 giorni dalla vaccinazione. La fascia di età più a rischio è quella dai 20 ai 55 anni, soprattutto individui di sesso femminile. E stato stimato un tasso di circa 1 caso ogni 100.000 vaccinati. La forma, simile alla trombocitopenia indotta da eparina associata a trombosi, potrebbe essere legata allo sviluppo di auto-anticorpi contro il fattore piastrinico 4 (PF4), che scatenano gli eventi trombotici e il consumo di piastrine, o a meccanismi di “incremento di malattia indotto da anticorpi” (ADE). Al momento, è impossibile identificare dei fattori di rischio da cercare nella popolazione generale né c’è alcuna indicazione all’uso profilattico di farmaci antitrombotici quali acido acetilsalicilico, eparina non frazionata, eparine a basso peso molecolare, che aumenterebbero soltanto il rischio emorragico. Restano importanti sorveglianza clinica e immediato intervento diagnostico-terapeutico al sospetto.