Sempre più connessi, sempre più sconnessi

Sempre più connessi, sempre più sconnessi

30 Ottobre 2018 0 Di La Redazione

Le nuove generazioni, smartphon-dipendenti, vivono oramai in simbiosi con il magico strumento ma isolati dal prossimo. La simbiosi, però, reca vantaggi ad entrambi i soggetti coinvolti. Non è così per il telefonino.

Lo strumento, nato per comunicare è diventato oggetto di culto ed ha, di fatto, soppiantato i rapporti sociali. Più delle droghe, più dell’alcol, sta chiudendo in autentiche gabbie un po’ tutti, segnatamente i giovani. Più che di simbiosi, quindi, si dovrebbe parlare di parassitosi. Nel caso in specie, infatti, l’unico vantaggio vero lo conseguono le case produttrici che attraverso il telefonino vampirizzano giovani e meno giovani.In particolare i giovani sono “Superconnessi”,  ma dare la colpa alle nuove tecnologie digitali, ai social e alle chat è solo un modo per distogliere l’attenzione dalla necessità di educare i giovani, col rischio di precipitare in un pericoloso vuoto educativo, in primis se non si insegna loro a connettersi veramente con il prossimo, riconoscendolo e rispettandolo.

A spiegarlo è lo psicoterapeuta Domenico Barrilà, autore del libro “I superconnessi, come la tecnologia influenza le menti dei nostri ragazzi e il nostro rapporto con loro” (URRA Feltrinelli), che aggiunge: il problema parte dagli adulti, gli stessi che, pur lamentando l’uso eccessivo di smartphone e web dei propri figli, mostrano di non avere controllo sul loro rapporto con i dispositivi digitali. “I figli imparano dai nostri comportamenti, non dalle parole, è impossibile portarli dove noi stessi non sappiamo arrivare – spiega Barrilà – dunque un genitore che utilizzi in modo immaturo gli strumenti digitali perde autorevolezza e lede le sue chance di correggere i figli”.
“I giovani nell’ansia di voler essere costantemente ‘connessi’ trasferiscono il bisogno di “legami” – continua l’esperto. Quindi più che mettere sotto accusa le nuove tecnologie, dovremmo preoccuparci di munire
i figli di solidi sentimenti comunitari”.  “La Rete – precisa – è un caso particolare di vita sociale, che rivela perfettamente, magari esasperandoli, gli orientamenti profondi dei nostri figli. Dice chi siamo veramente. Sui social i ragazzi veicolano l’immagine che si sono fatti di sé, drammatizzano, come in una recita, ciò che credono di essere”.
Tuttavia in Rete si agisce senza investire il proprio volto, la propria corporeità, dunque in modo molto più disinibito, col rischio di smettere di rispettare la sensibilità e lo spazio altrui. Ma non serve “disconnettere” i figli dal mondo digitale, piuttosto, conclude, è ora di riappropriarsi della nostra responsabilità educativa favorendo in loro lo sviluppo dello spirito cooperativo per salvarli dagli eccessi.