Secondo la Cassazione il medico non può garantire il risultato

Secondo la Cassazione il medico non può garantire il risultato

8 Gennaio 2021 0 Di Corrado Riggio

Secondo la Suprema Corte non si può applicare il principio secondo cui il danneggiato può agire per il risarcimento del danno allegando solo l’inadempimento del debitore o come nel caso de quo del medico.

La Suprema Corte di Cassazione con recentissima Ordinanza recante numero 26905 del 2020 ha ricordato che il paziente in nessun caso potrà pretendere dal medico il risultato, poiché quest’ultimo non può essere garantito dalla mera esecuzione della prestazione sanitaria. Infatti, nei rapporti professionali l’esecuzione della prestazione non può garantire in maniera assoluta il risultato sperato anche se la stessa è esente da errori o inesattezze e, tale principio, è naturalmente applicabile anche alle ipotesi in cui il professionista in questione sia un medico. Pertanto, alla luce di tali principi, secondo la Cassazione nella sopra citata Ordinanza, a tali rapporti non si può applicare il principio secondo cui il danneggiato può agire per il risarcimento del danno allegando solo l’inadempimento del debitore o come nel caso de quo del medico.

In tal senso, le obbligazioni professionali di diligenza, quindi, si caratterizzano per un doppio profilo: l’interesse della parte al ripristino, al miglioramento o al non aggravamento delle proprie condizioni di salute e l’interesse strumentale all’esecuzione della prestazione in ossequio alle leges artis. Ciò posto, l’allegazione dell’inadempimento è in grado dimostrare solo che la condotta del medico si collega all’evento lesivo costituito dall’insoddisfazione dell’interesse strumentale finalizzato all’esecuzione dell’intervento conformemente alle leges artis sulla base di un nesso di causalità materiale. Non basta, invece, per provare che la lesione dell’interesse primario derivi eziologicamente dalla condotta del sanitario, in quanto, come detto, il tipo di prestazione professionale non garantisce e non può assicurare la realizzazione del risultato primario. Alla luce di ciò, sostiene sempre la Cassazione, il paziente che voglia far valere un’ipotesi di responsabilità medica dovrà, pertanto, provare anche il nesso di causalità materiale, ovverosia dimostrare anche per presunzioni, che la condotta del medico rappresenta la causa dell’evento lesivo della salute. In caso contrario, si dovrebbe ammettere che dalla prestazione del sanitario derivi la certezza del raggiungimento del risultato, con ciò ponendosi in contrasto con la natura stessa dell’obbligazione del medico che, appunto, appartiene alle obbligazioni di diligenza professionale, che gli impongono di agire conformemente alle leges artis ma non di garantire l’esito della cura.

E questo è il motivo per cui i giudizi di responsabilità medica si caratterizzano per il doppio ciclo causale, in forza del quale il paziente deve dimostrare che tra il peggioramento della salute o la mancata guarigione e la condotta tenuta dal medico sussiste il nesso di derivazione causale e, solo successivamente, il professionista deve dimostrare la causa esterna alternativa, imprevedibile ed inevitabile.