Ritratto di un’artista: Giusy Milone

Ritratto di un’artista: Giusy Milone

13 Settembre 2020 0 Di Luigi De Rosa

Se è vero come è vero che il “Pino Sentinella” è appartenuto ad una Contessa, Giusy per noi soci attivisti del Wwf è stata il Barone Rampante.

 

Da qualche settimana sulla statale amalfitana ss163, in quella parte del territorio che cade nel Comune di Piano di Sorrento, c’è una scultura realizzata su un tronco di quattro metri, quello che rimane di un Pinus pinea di 130 anni che una bufera nel 2017 compromise irrimediabilmente spezzandogli le due grosse branche in quota laterali. Triste destino quello di quest’albero ma non miserabile, avrebbe commentato Schopenhauer perché destinato a sopravvivere a se stesso diventando un simbolo di resilienza. Il pino fu oggetto di contesa tra la Contessa Maria Vittoria Colonna, proprietaria del fondo, e il presidente del Wwf Terre del Tirreno Claudio d’Esposito, che si batté come un leone per impedirne il taglio. Alla fine la Contessa donò il pino al Wwf Terre del Tirreno. L’albero purtroppo è morto a causa di una tempesta che la stessa notte sradicò molte altre piante secolari e capovolse perfino un porter di una tonnellata parcheggiato in un terreno agricolo nelle vicinanze. Giusy Milone è la scultrice scelta da Claudio d’Esposito per realizzare sul tronco del Pino detto “Sentinella” un’opera d’arte. L’idea era quella di donare alla comunità un topos in memoria di un albero monumentale, che per anni ha disegnato il paesaggio della costiera magnificandolo con la classica chioma a ombrellone. Si è scelta la figura di un vecchio guardiano dal profilo greco come Ulisse (dal tronco sono visibili le Sirenuse o Li Galli) e che in un certo senso potesse simbolizzare la cura e l’attenzione che ogni uomo deve avere per l’ambiente troppo spesso violentato anche in un contesto bellissimo quale è, a giudizio di molti, la penisola sorrentina. Giusy Milone è salita sull’albero, o meglio sul ponteggio, il 14 agosto e ne è scesa dieci giorni dopo, ultimata l’opera. Se è vero come è vero che il “Pino Sentinella” è appartenuto ad una Contessa, Giusy Milone per noi soci attivisti del Wwf è stata il Barone Rampante. Il Cosimo eroe degli alberi, raccontato dal grande Italo Calvino nell’omonimo romanzo. Una “Baronessa” dunque, nobile non per sangue ma per spirito, forza e coraggio. La giovane scultrice di Massa Lubrense, armata di motosega, ha liberato dal tronco in soli dieci giorni lo “spirito dell’albero”, volendo rubare un’espressione cara ad Auguste Rodin, che gli spiriti invece liberava dai marmi. Un’impresa che l’ha impegnata mentalmente, moralmente e fisicamente. Una sfida che Giusy ha accettato e vinto. E a proposito di sfide, Giusy la prima la vinse da bambina quando il padre la pose a cavalcioni di una moto, e lei di rimando imparò a guidarla.  Da allora è stato un susseguirsi di sfide che il fato le ha posto davanti, e lei sempre pronta ad accettarle, con quel pizzico di sana follia che solo artisti come Salvador Dalì potevano vantare senza sembrare ridicoli. Dopo il Diploma, conseguito presso il liceo artistico “Francesco Grandi” di Sorrento, per pagarsi le rette dell’Accademia di belle arti di Napoli, s’imbarcò come marinaio su uno yacht, calcò i campi di calcio da professionista arrivando anche a militare in prima categoria. Se il padre le ha insegnato ad accettare le sfide, la madre è stata e sarà per sempre, visto che parliamo di una scultrice: l’Arkengemma, il cuore della montagna, gemma che non si può scolpire ma è da lì che tutto ha origine. Dopo l’Accademia di belle arti di Napoli Giusy Milone si è specializzata a Brera dove ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento di discipline plastiche e scultoree. A dispetto della giovane età ha già esposto in America, a Los Angeles, dove è stata selezionata alla Biennale di Arte Contemporanea, oltre che nella villa comunale di Frosinone ed a Veroli. Da alcuni anni è Docente di discipline plastiche al liceo artistico di Tivoli, dove vive e lavora. Nella vita artistica di Giusy Milone la parola sfida è il minimo comun denominatore, perché le piace mettersi alla prova con ogni tipo di materiale: argilla, calcestruzzo cellulare, marmo, legno, ghiaccio e perché no: anche il cioccolato. Ciò che conta per lei è l’esperienza della creazione che ama talvolta condividere con altri come è accaduto per il “Pino Sentinella” che l’ha vista assistita dagli attivisti del Wwf o per “Viola” che ha condiviso con le sue studentesse di Frosinone. “Viola” è statua che merita una menzione particolare. Essa è opera di alto profilo, plasmata nel 2015 vincitrice nel 2017 del Premio Vallecorsa “Le vie del cinema”. La statua è stata creata in ricordo delle cosiddette “marocchinate”, le donne ciociare stuprate dal battaglione dei Goumiers, i soldati marocchini, che nel 1944 ottennero in premio quello che in guerra si chiama “diritto di preda”: una licenza di stupro e saccheggio concessa alle truppe che avevano vinto la battaglia. “L’orrore come ricompensa”, così avrebbe sentenziato Alberto Moravia nel suo capolavoro letterario “La ciociara”, portato sugli schermi cinematografici da Vittorio De Sica con Sophia Loren nel 1960. La donna “Viola-ta” di Giusy Milone è nuda, ha forme generose, il volto è teso a simboleggiare la vergogna di essere giudicata, cosa che accade a tutte le donne vittime di stupro, mentre il ventre leggermente ingrossato rivela la tragedia nella tragedia, il nascituro figlio della violenza. Una scultura possente questa dell’artista massese, che declina nella sua intensa espressività emozioni uniche, ricorda la bellezza di certe opere dei napoletani Filippo Cifariello e Vincenzo Gemito. Della produzione artistica della giovane scultrice di Massa Lubrense va ricordata anche “Milo”, il tema a cui è legata è ancora una volta quello della violenza sulle donne, questa volta l’indice è puntato sulla violenza di genere. “Milo” è piegata su se stessa, mentre la cera che la ricopre sembra sigillarne il dolore, quello più lacerante che è sempre sordo, silenzioso e continuo. A queste opere sul dolore contrappongo quelle sulla vita. La prima, scultura senza nome, è realizzata in calcestruzzo cellulare, che fu inventato agli inizi del 900 e veniva usato per la realizzazione di tramezzi, Giusy Milone l’adopera per dare vita alla figura di due amanti, che sembrano fondersi e confondersi come in un disegno di Escher in un bacio eterno senza fine e confini, quasi a sottolineare che al vero amore non bisogna porre limiti.  Infine il bambinello del Vervece, l’opera in calcestruzzo ricoperto di bronzo era destinata a giacere a 14 metri di profondità ai piedi di una Madonnina posta sullo scoglio detto del Vervece, che si trova a meno di un chilometro dal porticciolo di Marina della Lobra. L’iconografia scelta in questo caso ricorda quella del cosiddetto “bambinello eucaristico”, mano destra sul cuore, braccio sinistro disteso verso il basso, in questo caso non stringe il classico grappolo d’uva, ma ha la manina aperta, forse a simbolizzare la mano tesa in aiuto e soccorso a chi è in difficoltà in mare. Un’opera comunque particolare nella sua classicità. La carriera artistica di Giusy Milone è agli inizi, ma se queste sono le premesse, non le sarà difficile guadagnarsi l’attenzione della critica e magari raccogliere i consensi di pubblico oggi destinati a scultori contemporanei del calibro di Jago e Cecco Bonanotte. Il talento c’è e la grinta non le manca.