Angelo Perfetti, cercare non più notizie ma risposte

Angelo Perfetti, cercare non più notizie ma risposte

18 Novembre 2020 0 Di Anna Mozzi e Pasquale Maria Sansone

Angoscia, confusione, depressione: tre parole per esprimere le emozioni comuni e condivise da Noi Italiani in questo momento storico, contingente, davvero tragico.

Il Covid-19 continua a diffondersi, anche se le vittime non sono tante quanto nel marzo scorso, ma le sale di rianimazioni sono congestionate e sovraffollate. Il Personale Sanitario (Medici ed Infermieri), seppur carente è, in prima linea, a curare i Pazienti Covid.

In attesa di un efficace e sicuro vaccino, non resta che seguire le linee-guida: distanza, uso della mascherina ed uscire di casa solo per urgenti necessità.

Abbiamo deciso di trattare questa tematica, che sconvolge il nostro stile esistenziale ed il nostro diritto alla libertà con Angelo Perfetti: attuale Direttore Responsabile de “Il Faro online” (www.ilfaroonline.it), già Direttore Editoriale del quotidiano online internazionale “In Terris”, Caporedattore del quotidiano d’inchiesta “La Notizia”, Caporedattore Ufficio centrale del quotidiano “Il Tempo”, Direttore Responsabile delle edizioni provinciali de “Il Tempo” Latina, Frosinone e Molise, Direttore Responsabile di 9 quotidiani territoriali del Gruppo Editoriale Nuovo Oggi (ed. Ciarrapico).

Come ha vissuto e vive Angelo Perfetti la paura della pandemia e quali ricordi ha del periodo di lunga clausura durante la “prima ondata”?

Il mio lavoro mi ha costretto (o forse è meglio di dire mi ha permesso) a non fermarmi. Dunque la sensazione di angoscia più che viverla direttamente l’ho percepita e la assorbo da ciò che la società, i territori, ci restituiscono come emozioni. E’ per questo che, a un certo punto, in una riunione di redazione ho dato questa disposizione: ‘non cerchiamo più notizie, cerchiamo risposte’. Il senso di smarrimento della gente infatti aveva bisogno di articoli che rispondessero in maniera chiara e semplice a una serie sempre crescente di domande. La televisione spesso confondeva più che chiarire, bombardando gli spettatori, nei diversi canali, ogni ora con un esperto diverso che diceva cose diverse. La sintesi delle varie posizioni, previo approfondimento, è stata la chiave utilizzata per la costruzione quotidiana del nostro giornale. E lo è ancora.

Sono trascorsi alcuni mesi dalla fine del primo lockdown in cui gli nostri amministratori nazionali, regionali e locali, non hanno provveduto a dotare, tempestivamente, gli ospedali di presidi necessari per affrontare una prevedibile “seconda ondata”. Oggi molti ospedali italiani sono in affanno. Si muore in isolamento, senza neanche uno sguardo ed una parola di conforto. Cosa si può fare per evitare queste emergenze sanitarie?

Il discorso è complesso. Parte dalla cosiddetta riforma del Titolo V, ossia quell’azione politica che ha visto delegare alle Regioni la gestione, tra le altre

cose, della sanità. I risultati sono stati devastanti, sia in termini di comparazione tra regioni rispetto all’efficienza, sia nella scelta dell’allocazione delle risorse regionali sui vari campi di intervento possibile (salute, trasporti, rifiuti, tanto per fare degli esempi). Se a livello centrale non si investiva più nella ricerca e nelle università, a livello decentrato non si puntava più sulla qualità del servizio sanitario ma sul risparmio, spostando soldi da un settore a un altro cercando di far quadrare i conti. Ciò che è accaduto questa estate (e dunque i ritardi e le inefficienze) è conseguenza dello stesso sistema, ormai malato cronico.

Secondo Lei quanto durerà la convivenza con il Covid-19 e quanto ancora dobbiamo imparare da questa esperienza?

Per sempre. Il Covid, alla fine, ha una genesi molto simile a quella influenzale. Ad oggi sappiamo che non si elimina con un singolo vaccino, né chi l’ha presa è immune dall’essere nuovamente coinvolto (anche se, su questo, una ricerca Iss ha evidenziato la persistenza degli anticorpi che bloccano la proteina aggressiva, ma per ora solo in laboratorio); ripeto, con tutti i distinguo del caso, il percorso è molto simile a quello dell’influenza che già conosciamo. Certo è che una volta che potremo vaccinare le categorie a rischio e curare tempestivamente, con dei protocolli testati, chiunque si ammalasse, l’incidenza della malattia nella società sarà decisamente diversa, meno impattante.

Ritiene che ci siano differenze nella gestione della Pandemia da parte dei Paesi Europei?

All’inizio i diversi Paesi sono stati vittime del cosiddetto NIMBY (in inglese Not In My Back Yard, letteralmente Non nel mio giardino sul retro) , nell’errata speranza che il  problema riguardasse solo gli altri, Italia in primis. Poi la pandemia ha scoperto le sue carte, e si è capito che solo un approccio comune – sia in termini di ricerca sia in termini di       soluzioni tampone – avrebbe     ottenuto l’effetto di tamponare il fenomeno. Oggi ci        troviamo con una sostanziale uniformità delle diverse Nazioni nell’affrontare l’emergenza. Il fatto che siamo semplici ospiti dello stesso pianeta, al di là di razze, colori della pelle o religioni, oggi è un po’ più chiaro a tutti.