Angelo Giuseppe Pizza, esperto di emergenze e scrittore

Angelo Giuseppe Pizza, esperto di emergenze e scrittore

11 Agosto 2020 0 Di Anna Mozzi e Pasquale Maria Sansone

Angelo Giuseppe Pizza è esperto di rischio sismico, gestione tecnica dell’emergenza ed agibilità post evento delle costruzioni. Appassionato bibliofilo e lettore, curatore “quasi” occulto di saggi letterari ed opere poetiche di successo, ha scritto “Il rischio del mestiere”, “Gòrgo”, “La vera storia di Ginepra e Lancillotto”, “Obbrobriosi cimeli” e “La rivolta dei Sensi”. Ingegnere, nato a Napoli, cresciuto a Cicciano, vive, quando possibile, a Roma, opera in tutta Italia e frequenta gli Universi Mondi.

La sua ultima fatica letteraria “Spiriti Anarchici. Le disavventure spiritiche di uno scrittore fantasma”, Gangemi editore.

 

In che modo Angelo Giuseppe Pizza, in qualità di esperto delle emergenze, ha vissuto la paura della pandemia ed il lungo periodo di Lockdown?

Non penso che la lunga esperienza maturata in svariati contesti emergenziali abbia inciso in modo significativo sulla mia percezione personale della manifestazione pandemica. Credo sia stato più condizionante sul mio comportamento l’aver passato tale periodo a Roma, in una zona non duramente interessata dagli effetti sulle persone e, dunque, ho provato maggiormente tristezza per gli eventi tragici accaduti, non paura per me o i miei cari, sebbene l’informazione generale unidirezionale ed incessante ritengo che abbia contribuito a disseminare fobie ulteriori rispetto a quella sola e forse logica del contagio.

Sebbene io non sia uno studioso della psiche, sarei curioso di conoscere gli effetti “anti-claustrofobici” della pandemia, visto che in questa occasione, diversamente da quel che accade in un’emergenza sismica, la casa non è stata vista come luogo da evitare in quanto fonte di minacce per l’incolumità della propria persona e della propria famiglia, ma come una rassicurante caverna in cui rinchiudersi per proteggersi, spronati in ciò anche dalle direttive nazionali e dalla necessità di porre in atto le dovute cautele difensive.

La caverna, però, rappresenta atavicamente una tana primordiale, condizionando anche il conseguente comportamento del nuovo cavernicolo contemporaneo, che dopo più di duemila anni si trova ancora a rifiutare l’agnizione offerta dalla rivelazione epifanica del mito della caverna Platonico. Come a suo tempo ho scritto nel mio primo libro “I rischi del mestiere” rivisitando il suddetto mito a modo mio, il rischio odierno è che lo Sciamano dell’informazione unificata possa convincere i reclusi volontari ad organizzare una lapidazione contro coloro che, ribelli, accettino di rischiare e di vedere non le mere ombre, bensì la brillante Luce del mondo vero delle idee in cui almeno la libertà di pensiero dovrebbe esistere sempre, condannando però all’estinzione la neo-tribù primitiva rinchiusa e tutte le false credenze della buia ed ombrosa caverna.

 

Da Esperto della Protezione civile crede che siano state messe in campo tutte le necessarie risorse per affrontare questa nuova, fortemente letale, pandemia?

Proprio in quanto esperto, ritengo che i giudizi su tale argomento vadano dati da coloro che siano davvero competenti nella materia, qualifica a me non afferente, occupandomi io di ingegneria sismica e non di virologia e campi affini. Altrimenti rischierei di comportarmi similmente ai modaioli inesperti esperti o esperti inesperti così tanto desiderosi di parlare su qualsiasi argomento senza averne alcun titolo, dando ampia ragione a Fëdor Dostoevskij ed ai dèmoni: «Quale tristezza e quale rabbia … quando di una grande Idea, …, s’impadroniscono degli ignoranti e la trascinano sulla strada verso gente altrettanto stupida quanto essi stessi, e la incontrate improvvisamente al mercato degli stracci, irriconoscibile, nel fango, male esposta…». In alcune occasioni il silenzio è d’oro, lo dice anche l’Ecclesiaste: «C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare».

 

Angelo Giuseppe Pizza è un maitre à penser, un esploratore anche degli universi Mondi, un Puer Aeternus con una marcata pulsione epistemofilica. Qual è il messaggio, la lectio che lei vuole comunicare a noi lettori attraverso la sua opera?

L’ovvia premessa è che io scrivo (ma soprattutto leggo) essenzialmente non per diffondere un nuovo Verbo, ma per diletto e, si sa, ci sono vari modi per divertirsi.

Tempo fa in un libro di Woldemar Kaden “Aspetti naturali topografici e storici dell’isola d’Ischia” ho letto una frase: «Sappi poco, ma il poco bene», da non intendersi quale invogliamento a dedicarsi ad un sapere limitato iper-specializzato tipico dell’epoca odierna, bensì come sprone a studiare, a leggere, ad informarsi da fonti certe, ad ascoltare i sapienti veri e, in breve, a perseguire la Conoscenza.

Lo confesso: purtroppo sono un moderno e mi credo un antico, dando forse l’impressione di essere soltanto antiquato, in stile “Midnight in Paris” di Woody Allen. Non mi riconosco nel debole pensiero dominante di questi tempi, ammiro l’uomo universale dei secoli scorsi, l’ultimo dei quali ritengo sia stato lo psicologo analitico Carl Gustav Jung; preferisco essere d’accordo, come ho detto nel mio “I rischi del mestiere”, con quanto asserito da Pierre-Édouard Lémontey, circa due secoli fa: «Noi restiamo colpiti da ammirazione al vedere tra gli antichi lo stesso personaggio essere al tempo stesso, e in grado eminente, filosofo, poeta, oratore, storico, sacerdote, amministratore, generale di esercito. I nostri spiriti si smarriscono alla vista di un campo così vasto. Ognuno ai giorni nostri pianta la sua siepe e si chiude nel suo recinto. Ignoro se con questa sorta di ritaglio il campo si ingrandisca, ma so bene quanto l’uomo si rimpicciolisca». Orbene, poiché tale lamentela veniva rivolta da un uomo cresciuto nella seconda metà del ‘700, allora potrebbe sembrare che sia una prerogativa degli uomini futuri “invidiare” la vastità del sapere degli uomini del passato, statisticamente dotati di una durata di vita molto più breve della nostra e quindi ancor più da ammirare per i risultati raggiunti.

Queste mie parole, però, mi fanno notare come io proceda nei miei scritti, senza un filo preciso da seguire, ma affidandomi alle libere associazioni, pescando nel profondo inconscio ed elaborando testi con fantasia, razionalità e soprattutto ricerca di divertimento, per me e, spero, anche per il lettore eventuale. Probabilmente questa modalità di scrittura, a volte apparentemente caotica o senza regole (mai sgrammaticata), mi è resa possibile proprio dal non essere uno scrittore di mestiere, altrimenti ben altri elementi dovrei portare in conto e di questo sono ben conscio, tanto che spesso mi son dedicato a rivedere e curare testi e libri di autori anche noti, richiedendo ciò un minor impegno temporale (catturato dal mio lavoro primario) ma non mentale, dandomi ad ogni modo la gran soddisfazione di intervenire in un testo senza alterarne lo stile o creare bubboni estranei alle pagine. In tal modo il proprio sapere si amplia a dismisura e lo si offre agli occhi altrui. Chi vuol partecipare a tale conoscenza non deve far altro che dedicarsi alla lettura, senza pretendere di diventare esperto assoluto di una materia dopo aver letto solo qualche frase tratta fa fonti incerte.

In sintesi, come ho scritto tempo fa: “si vis pacem, para librum”, se vuoi la tua pace, scrivi un libro, ma non assillare gli altri con il tuo personalissimo “capolavoro”, il tuo entusiasmo potrebbe non essere condivisibile. Il mio “Spiriti Anarchici” lascia al lettore il compito di stabilire se si tratti di letteratura o di noiosa materia informe: a lui il giudizio e se ha trascorso qualche minuto in buona e serena compagnia leggendomi, allora la mia meta può ritenersi raggiunta.

 

Lei è uno spirito anarchico alla Bakunin, ma rimemora, rievoca “Il Forestiero della Vita” di pirandelliana memoria? C’è una chance, un’opportunità di catarsi e palingenesi all’epoca del Covid-19?

Se non esistesse più possibilità di purificazione e rigenerazione allora ciò implicherebbe la fine acclarata non del mondo, ma dell’umanità e ciò non mi sconvolge come evenienza, in verità, visto che per più di quattro miliardi e mezzo di anni la Natura ha saputo ben fare a meno dell’uomo (e della donna, per par condicio), essere pernicioso alla Terra tutto sommato.

Dunque, un essere umano estraneo alla comune modalità di vita sarebbe addirittura auspicabile e non deleterio o distruttivo o anarchico nell’accezione comune e retriva del termine. L’Anarchia bakuniniana, infatti, viene spesso (mal)interpretata quale esaltazione del caos e, pertanto, ancor più dannosa; invece io preferisco accogliere la lezione di Proudhon, «la société cherche l’ordre dans l’anarchie»: la società cerca l’Ordine nell’Anarchia, equiparando la necessità di annichilimento e la necessità creativa, cioè una distruzione costruttiva come in una Grande Opera alchemica o più semplicemente come il seme che muore nel terreno per dar vita alla pianta, creatura libera per natura senza imposizioni o divieti esterni, esempio per un uomo libero soggetto solo a léggi naturali immanenti, fondamento del nostro essere materiale, intellettuale e morale.

Accogliamo il suggerimento di Voltaire nel “Candide”: coltiviamo il nostro giardino. Credo che in ciò consistano la pura Catarsi e la vera Palingenesi, condotte da esseri indipendenti, non replicanti, dotati di propria personalità e non da gente estraniata dalla società, tanto da crearsi una finta morte ed una falsa nuova identità come il fu Mattia Pascal. È proprio ciò che accade all’anonimo protagonista di “Spiriti Anarchici” che, sconfitto nel campo editoriale preda riservata a pochi privilegiati eletti, pur di campicchiare accettando di svolgere la sgradita funzione di ghost writer, cerca una strada “facile” per scrivere testi a sé sgraditi, grazie all’occulto contributo di scrittori spiritici malamente evocati mediante rituali raffazzonati, pensando, come tanti oggi, che si possa sempre trovare un’inesistente scorciatoia lungo la tagliente e tortuosa strada della Conoscenza. Come ricordo nel mio ultimo libro, Ernst Bloch, quando, durante un’intervista, gli chiesero di stringere i tempi con le sue risposte, osservò che, di espresso, c’era il caffè, non la filosofia!